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Il Socio Bretone, esperto di diritto romano, è mancato nella sua casa di Bari

Bretone, Mario

Mario Bretone, nato a Napoli il 2 gennaio 1932 e spentosi a Bari l’11 aprile 2025, socio corrispondente dell’Accademia Nazionale dei Lincei nella classe di scienze morali dal 2006 e nazionale dal 2024, ha esercitato un’influenza profonda sugli studi sul diritto romano negli ultimi cinquanta anni. È uno di quegli studiosi – pochi per ogni disciplina - di cui si può dire che abbiano introdotto un proprio stile di ricerca, caratteristico per temi, prospettive e forma. Questo stile, sebbene inimitabile, ha esercitato una suggestione tale da trasformare l’opera di Bretone in un modello, quasi in una scuola; esito quasi paradossale per uno studioso assorbito dai suoi studi e apparentemente restio al proselitismo.

Laureatosi con Mario Lauria il 10 novembre 1954, in un momento di grande fervore per gli studi di diritto romano a Napoli, anche per la presenza di due autorevoli e diversissime personalità come Francesco de Martino e Antonio Guarino, conseguita la libera docenza nel 1959, e dopo avere tenuto corsi al Centro Arangio-Ruiz nell’Ateneo partenopeo, svolse per intero la sua attività di insegnamento all’Università di Bari, dal 1963 ai primi anni 2000, con una parentesi a Firenze nel 1976-77. Dei suoi anni di formazione ha lasciato un ricordo al tempo stesso personale e corale (Minima personalia: Il Mezzogiorno in una Stanza, in Belfagor 57 (2002) p. 363–68).

Studioso precoce, fece le prime prove sulla comproprietà e sulla Nozione romana di usufrutto (Napoli, Jovene, 1962-1967). Il libro che pubblicò nel 1971 (in seconda edizione nel 1982: Napoli, ESI), Tecniche e ideologie dei giuristi romani, fece scalpore. Il titolo, nella sua apparente semplicità, è un manifesto: dichiara che l’oggetto principale del libro non sono le norme e gli istituti del diritto romano, che erano invece da sempre al centro dell’attenzione dei romanisti e materia di insegnamento nelle università. L’attenzione è invece spostata sui giuristi che quelle norme e quegli istituti hanno elaborato, e sui loro metodi. Anche “tecniche e ideologie”, parole oggi quasi anodine, se riportate ai primi anni ’70 rivelano la loro carica innovatrice. I giuristi romani, nella prospettiva di Bretone, non sono più visti come fungibili rappresentanti di una razionalità atemporale, come li voleva una tradizione che risaliva almeno a Leibniz e Savigny. Le “tecniche” di ragionamento si colorano delle “ideologie”, cioè dei valori e degli interessi di cui i giuristi erano portatori, come individui e come esponenti dei ceti più elevati della società romana. Nelle parole di Bretone stesso: “Il mondo culturale, di cui anche i giuristi erano partecipi, vedeva l’intreccio di tecniche e di “filosofie” diverse, in modi non disinteressati ma determinati da ragioni pratiche e politiche” (Introduzione a W. Kunkel, Linee di storia giuridica romana, Napoli, ESI, 1973, p. XVI). Com’è evidente, questo nuovo indirizzo di studio (non del tutto isolato in quegli anni, ma da Bretone interpretato con originalità e finezza estreme) mirava alla storicizzazione del diritto romano, ossia a comprenderlo nella società che lo aveva prodotto: non come un sistema dato (tanto meno come l’edificio ricostruito con i mattoni romani dalla cd. Pandettistica tedesca del XIX secolo), bensì dall’interno, nel suo farsi.

Sensibile alla teoria dei sistemi sociali di Niklas Luhmann, Bretone considerava il diritto come un sottosistema dotato di logiche e dinamiche proprie, provvisto cioè di una certa autonomia e resistenza. Per questo motivo, riteneva che il pensiero giuridico romano, piuttosto che evolvere sotto la spinta di economia e politica, entrasse in risonanza con campi culturali discorsivi vicini, come la retorica e la filosofia, che devono dunque essere inclusi nel campo d’indagine dello storico del diritto. È un esempio di questa prospettiva il volume I fondamenti del diritto romano. Le cose e la natura (Roma-Bari, Laterza 1998; nuova ed. 2001), nel quale il tema delle “cose” (come categoria giuridica), in particolare delle res incorporales, viene illustrato alla luce della fisica stoica. Quest’apertura interdisciplinare è stata perseguita da Bretone anche sul piano istituzionale: negli anni ’80 fu fra i promotori della costituzione, presso l’Università di Bari, di un Dipartimento in cui gli studiosi di diritto romano (tradizionalmente inseriti nelle facoltà di Giurisprudenza) convergessero con gli altri cultori dell’antichità greca e romana, in particolare i filologi.

Il percorso verso la storicizzazione del diritto romano passava, nell’orizzonte di Bretone, anche per una seconda strada, quella della storia degli studi. Fine conoscitore della cultura tedesca (lui che aveva perso il padre nelle Quattro giornate di Napoli, alla vigilia della liberazione dall’occupazione nazista), Bretone ha identificato e decostruito alcuni modelli interpretativi elaborati dalla storiografia giuridica del XIX secolo (in particolare da F.C. von Savigny) e del XX secolo (Fritz Schulz), che rischiano di condizionare e deformare la lettura delle fonti antiche (Diritto e tempo nella tradizione europea, Roma-Bari, Laterza, 1994; nuova ed. 2004). Di conseguenza, non è solo il diritto romano ad essere studiato da Bretone nel suo farsi, dall’interno. Anche il lavoro dei moderni storici del diritto è indagato nei suoi metodi e condizionamenti, potremmo dire nelle sue tecniche e ideologie (In difesa della storia, Roma-Bari, Laterza, 2000).

Insegnante esigente con sé stesso e con gli alunni, ha lasciato un manuale Storia del diritto romano giunto alla XXIV ristampa (Roma-Bari, Laterza, 2024) e tradotto in francese, spagnolo e tedesco, che rappresenta probabilmente la più originale e suggestiva introduzione all’esperienza giuridica romana oggi disponibile. La finezza con cui vi sono esaminate le opere dei giuristi si riflette in uno stile espositivo elegante e curato, venato da un’ironia che, per Bretone, era scelta estetica e professione di metodo.

La sua attività presso l’Accademia dei Lincei, che negli ultimi anni ha meno potuto frequentare per ragioni di salute, è testimoniata dall’importante volume Ius controversum nella giurisprudenza classica (Atti, cl. Sc. Mor., Stor. e Fil., Mem., Ser. 9., v. 23., f. 3, Bardi, 2008). In esso, i casi in cui i giuristi romani si trovano in dissenso e dibattono sono esaminati per comprendere in che modo, nel concreto del loro operare, essi trovavano la sintesi fra tendenze apparentemente contradditorie, fra le inclinazioni e la creatività dei singoli interpreti da una parte e le esigenze collettive di coerenza e di certezza del diritto dall’altra. Esplorando il pensiero giuridico antico dall’interno, Mario Bretone ha indicato una via per cogliere, con equilibrio e originalità, la complessa dialettica tra universalità e storicità del diritto romano.

(23 maggio 2025)

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